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Il capitale sociale come risorsa per la ripartenza

Sono le relazioni, il loro evolversi, a elaborare nuove forme di capitale sociale. È naturale dunque immaginare che con il tempo e la maggior complessità della società, anche quest’ultimo si modifichi, in quanto sono la cooperazione e i comportamenti individuali a definirlo.

di Arnaldo Bagnasco (Professore emerito di Sociologia).

L’altro capitale: è il tema conduttore del numero 6 di Civic, i quaderni della Fondazione Italia Sociale. Un tema che si snoda da una domanda: se dobbiamo pensare il dopo pandemia nei termini di una riscostruzione, su quali reti, con quali risorse, con quante energie siamo disposti a impegnarci? Ma, soprattutto: con quali idee? Perché, come scrive Enzo Manes nel suo editoriale, non basteranno i soldi europei a rimetterci in moto. C’è, infatti, una componente immateriale che va recuperarta, rafforzata, rilanciata. È il capitale sociale che, insistono gli interventi su Civic, è possibile, anche mediante nuovi mezzi e nuovi strumenti: ritrovare la fiducia e un senso condiviso del noi sarà la chiave per la ripresa della società». Pubblichiamo di seguito un estratto dell’intervento di Arnaldo Bagnasco, tra i maggiori sociologi del nostro tempo.

Un’idea minima di capitale sociale

L’uso del termine “capitale sociale” si è diffuso nella ricerca sociale e molti che lo usano non si fanno eccessivi problemi: credono di avere chiaro a sufficienza cosa intendono, e che ci sia al riguardo una sufficiente condivisione. Tuttavia le cose non stanno proprio così, e i tentativi di chiarimento sollevano in continuazione nuovi problemi. (…) È più facile fare esempi di capitale sociale che precisarlo concettualmente. Anzitutto prendo posizione rispetto a una alternativa, presente nella letteratura.

Questa è fra una idea che possiamo chiamare sistemica (ma si potrebbe anche dire culturalista) del concetto di capitale sociale e una relazionale (o anche interattiva). Nella prima prospettiva, il capitale sociale è l’attitudine a cooperare che deriva da una cultura cooperativa condivisa, capace di generare fiducia interpersonale diffusa.

Per J. S. Coleman , sono capitale sociale le risorse per l’azione che derivano dal tessuto di relazioni cooperative in cui una persona è inserita. La natura cooperativa delle relazioni, a sua volta, è connessa a una certa chiusura e continuità di rapporti: si tratta dunque di relazioni che implicano un riconoscimento reciproco degli attori, ovvero un atteggiamento non meramente strumentale nell’interazione. La rete di relazioni può essere attivata da un singolo attore, e in questo senso costituisce una risorsa per la sua azione, ma al tempo stesso questa possibilità è basata su una proprietà specifica della rete, in quanto contesto di interazione. In questo senso il capitale sociale è un fenomeno strutturale. Così inteso, il capitale sociale è un dato dell’organizzazione socile, è il potenziale di interazione che questa mette a disposizione delle persone che ne fanno parte. Sono state proposte varie specificazioni della natura delle relazioni che possiamo considerare capitale sociale come fenomeno strutturale. (…)

Nell’idea di capitale sociale deve però essere compresa non solo la base fiduciaria di un tessuto di relazioni – in particolare considerata nei due contributi ricordati – ma anche la forma o struttura di questo. Ad esempio: in certi specifici mercati, la famiglia può essere capitale sociale come struttura sociale appropriabile ad altri scopi solo se abbia una certa dimensione e una certa struttura (una certa organizzazione). Oppure: ha capitale sociale chi occupa la posizione che corrisponde a un “buco strutturale”. È comprendendo insieme caratteri formali e base fiduciaria dei tessuti di relazioni che possiamo considerare il capitale sociale come componente dell’organizzazione sociale.
Articolo completo su:
http://www.vita.it/

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